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Ott
09

Asia Argento. Selvaggia? La definizione mi piace…

asia 1Chi è davvero Asia Argento? Oggetto del desiderio, personaggio borderline, figlia d’arte, musa, madre, attrice, regista. Cattiva, lunatica. O dolce? È un difetto tipico di noi giornalisti quello di definire, incasellare. Quindi questa volta non commetteremo l’errore. Anche perché, lo dice lei, “dentro di noi ci sono cento personaggi”. In cerca d’autore probabilmente. E gli autori hanno dimostrato di apprezzare molto tutti i personaggi che vivono dentro Asia. Lo ha ricordato proprio Mario Sesti introducendo Asia Argento ieri a un affollato incontro con il pubblico al Festival di Roma: Sofia Coppola, Abel Ferrara, Cristina Comencini, Nanni Moretti, Gus Van Sant, e ovviamente il padre Dario Argento sono alcuni dei grandi autori che l’hanno voluta nei suoi film. Olivier Assayas l’ha definita la più grande attrice con cui abbia lavorato. È anche regista, e qui a Roma ha presentato un suo corto che fa parte del progetto Onedreamrush, in cui 42 registi in 42 secondi sviluppano il tema del sogno. Il suo corto, S/He, mostra un gruppo di transessuali che festeggiano in allegria, ed è girato con una pellicola sgranata, colori accesi e un suono disturbante a fare da sottofondo.

Si definisce timida, Asia, e probabilmente lo è. Lunghi capelli neri con boccoli, pantaloni e camicetta nera molto sobri, Asia Argento ci è sembrata soprattutto simpatica, di una simpatia coinvolgente. Una di quelle persone con cui sarebbe divertente andare a bere una birra. Che sia timida lo si capisce dalla sua riposta alla prima domanda. Che cos’ha di speciale per affascinare tanti autori? “Non mi piaccio un granché, e non so cosa piaccia di me a tutti questi autori che mi scelgono” risponde. “Quando troverò la risposta alla domanda probabilmente la mia carriera sarà alla fine”. La risposta potrebbe essere in quel suo lato selvaggio. “Mi piace ‘selvaggio’” risponde ridendo Asia Argento. “È molto meglio che ‘bad girl’ o ‘dark lady’. È qualcosa che mi riporta alla giovinezza sfrenata: è stato un periodo selvaggio in cui ho imparato il cinema facendo il cinema. Durante l’adolescenza, mi sono cercata facendo i film, e non sempre è stato un percorso facile”.

L’incontro con l’attrice romana diventa così proprio un percorso lungo la asia 22sua carriera, a partire dagli inizi. “Il primo incontro importante della mia carriera è stato quello con Cristina Comencini, con cui ho girato il mio primo film (Zoo, ndr): avevo undici anni” ricorda Asia. “Mi ha insegnato a dimenticare la sceneggiatura, e a lavorare in gruppo”. “Poi a sedici anni con Michele Placido (Le amiche del cuore, ndr) ho capito che questo poteva essere il mio lavoro” continua. “A sedici anni, con Le amiche del cuore, andai per la prima volta a Cannes. Mi ricordo che andai a comprarmi un vestito a Via del Corso, un vestitino tipo principessa, una schifezza di nylon”. “Nella vita mi sono divertita a recitare in ruoli strani, malati, al limite, personaggi che non ero io. Abbiamo centinaia di personaggi dentro di noi, sta al regista tirarli fuori”. Non era cattiva, Asia. Era che la disegnavano così. Anzi, si disegnava così. “A venti anni non volevo interpretare la brava ragazza borghese” ci svela. “Sono timida, esco poco di casa, e quando esco lo faccio per fare i film.  E quindi voglio fare qualcosa di divertente. Ho scelto questi ruoli ‘selvaggi’, ‘borderline’, perché mi divertivano”. Tra gli autori dei suoi inizi c’è stato anche Nanni Moretti, che l’ha diretta in Palombella Rossa. “Moretti mi faceva ripetere le scene ottanta volte, e le faceva ripetere anche a se stesso” ricorda divertita. “Cercava la perfezione, che non è possibile. Ma è giusto per un attore avvicinarsi ai desideri del regista”.

Lo sa bene, Asia, perché è regista anche lei: uno sbocco naturale per chi è figlia e nipote d’arte, e ha sempre respirato cinema, divertendosi. “Nel cinema ci sono nata, mio nonno distribuiva film in Brasile, mia mamma e mia sorella sono attrici, e poi c’è papà Dario” racconta. “Da piccola guardavo tutti i film, ero ossessionata: mi piacevano i film di mio padre, e gli horror in genere, perché erano proibiti. Li guardavo nei Betamax, quel formato in cui i film non stavano tutti, e si fermavano prima della fine”. Ma non è stato tanto scontato per lei lavorare con il padre. Anzi, è stata una sorpresa. “Ero sul set di Placido, e sognavo di fare un film con mio padre” ci svela Asia. “Fino a quel momento mi aveva solo fatto doppiare il mostro di Phenomena… Venne sul set, e disse: lei farà il mio prossimo film, lo sto scrivendo per lei”. “Trauma è stato un trauma” racconta tra il divertito e l’imbarazzato. “Era la prima volta che dovevo spogliarmi, ed era proprio davanti a papà…”

asia 33“Quando dicevo che volevo fare l’attrice, mi dicevano che avrei dovuto fare la regista, perché gli attori erano persone tremende. Così ho cercato di fare l’attrice senza essere tremenda” svela. E così l’esordio alla regia, con Scarlett Diva, è stato un passaggio naturale. “A un certo punto mi è venuta in mente una storia, ho sentito che dovevo farla.

Avevo ventitre anni, ed era diventata una questione di vita o di morte. Scarlett Diva è un film imperfetto, ma credo che la sua forza siano gli errori. Non riesco a guardarlo perché è come leggere un diario dell’adolescenza. È stato il primo film girato in digitale in Italia. Dentro c’era una rabbia che si liberava. E c’era anche dell’umorismo, che non è stato capito”. Non è facile recitare e dirigere. “Bisogna essere come le mosche, guardarsi in giro a 360 gradi, vedere cosa fa l’elettricista, il direttore della fotografia. Bisogna farsi aiutare da tutti, senza farsi sovrastare. Francois Truffaut diceva che il regista è uno che deve saper dare delle risposte. E le devi dare in fretta”. “Il regista è uno scrittore, se firma le sue sceneggiature, è musicista. Il regista è prigioniero delle proprie ossessioni, è un ossessivo-compulsivo”, confessa Asia.

Una regista come lei, coraggiosa, anticonformista, sarebbe un toccasana per il cinema italiano, che pecca proprio di coraggio e imprevedibilità. Ma quello di Asia Argento con il cinema italiano è un rapporto che sembra essersi interrotto, dopo la prima parte della sua carriera. “In Italia mi sento più a casa” si confida. “I miei mostri sacri sono gli ‘ini”: Rossellini, Fellini, Pasolini. In Italia il set è più caloroso, umano, familiare, c’è la sarta che ti fa l’amatriciana. In Francia il cinema è più snob. In America è una vera industria. Poi c’è chi, come Gus Van Sant, lavora in maniera artigianale: una volta sul set voleva fare una carrellata lunghissima, ma non gli bastavano i binari. Così ci siamo messi a spostarli noi, man mano che il carrello si muoveva. Nei film americani in genere non puoi aiutare un elettricista, rischi che ti accusino di fargli perdere il lavoro”. Ma l’America la diverte comunque. “Girare in America è divertentissimo, è come stare al Luna Park: vestiti, macchine, morti, armi, uzi, spari. Hanno di tutto.” Ma non sarà che per il cinema italiano è un personaggio troppo ingombrante? “Non lo so. Forse non mi chiamano perché pensano che io viva ancora all’estero. O perché non ci sono i ruoli adatti. C’è una persona con cui vorrei lavorare: è Francesca D’Aloja: spero che Il sogno cattivo parta presto, e lo farò io. Non è un caso che lavorerò con una donna: facciamo gruppo. Come dicono in Freaks: l’accettiamo, una di noi!”

A proposito di cinema americano, Asia ricorda con piacere l’esperienza con Sofia Coppola per Marie Antoinette. “Sofia Coppola è il potere gentile” racconta con affetto. “Non ha bisogno di comandare, ma ha sempre in mano il set. È una che lascia andare, così ho improvvisato, e lei non ha tagliato molte cose che ero sicura avrebbe tagliato. Neanche il rutto, che è stato un gioco, e invece è rimasto in scena”. A proposito di donne, la Argento si toglie anche un sassolino dalle scarpe. “Perché per lo stesso mestiere un uomo viene pagato più di una donna? E perché su cento registi c’è solo una donna e gli altri sono uomini? In Italia volevo lavorare con delle donne, soprattutto nel reparto tecnico, ma non le trovavo. Ci sono delle brave montatrici, ma è perché stanno là, non hanno un ruolo di potere”. Ma proprio Asia Argento tornerà presto dietro la macchina da presa per firmare il suo terzo film. “Girerò Fucile da caccia, tratto dal romanzo del giapponese Inoue Yasushi. Senza disturbare Rashomon, è una storia  raccontata in tre modi diversi: ci sono tre lettere. È una storia attualissima, un triangolo amoroso”. A proposito di storie, ce n’è una che ronza nella testa di Asia Argento da quando aveva sedici anni. “Due fratelli vanno in guerra, esplode una bomba, e porta via a tutti e due la faccia” racconta sorridendo. “La moglie di uno dei due li porta entrambi a casa per capire chi è il marito. Un giorno la girerò, e sarà il mio Elephant Man”.

È una donna che sogna, Asia Argento. Il suo sogno ricorrente era quello di nuotare nell’aria. È una donna che crea sogni, perché il cinema in fondo è questo. Ma qual è il suo sogno di attrice? Sogna un ruolo in particolare? “Non ho mai sognato Lady Macbeth, né la Pulzella d’Orleans” confessa candida. “Mi fanno un po’ ridere le cose che dicono gli attori per nobilitarsi. Io cerco di tenere a bada l’egocentrismo di noi attori. Non dico mai: questo lo potrei fare meglio. Dico: ammazza che brava sta attrice! Come quando vedo Bette Davis. Ecco, forse quello di Che fine ha fatto Baby Jane è un ruolo che farei. Un bel ruolo selvaggio”. 

 


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